Anatomia di un fallimento annunciato
L’incenerimento
non è la soluzione del problema dei rifiuti
ma è il rifiuto della soluzione del problema
Era la fine del 2003, quando la notizia del progetto di costruire un inceneritore all’interno della discarica di Malagrotta riaccese un conflitto e una preoccupazione che sembravano superate, dopo le lotte, i blocchi stradali e le occupazioni stradali e del Consiglio Regionale degli anni ’80 e ’90 da parte degli abitanti della Valle Galeria.
Ma questa volta la risposta dei cittadini e delle amministrazioni non fu così unitaria, come era stata nei 10-15 anni precedenti. Entrarono subito in conflitto due visioni diverse, antitetiche di affrontare il problema dei rifiuti che si ripresentava nella Valle Galeria.
Da una parte alcuni comitati territoriali, Comitato Malagrotta, Pisana 64, Viviverde Massimina che si riunivano ben presto nella più articolata Rete Regionale Rifiuti Lazio, composta da comitati territoriali di diverse realtà soprattutto del circondario di Roma, Associazioni ambientaliste come il WWF, Legambiente, Italia Nostra, Fare Verde e poi da sindacati, CGIL e UIL e Associazioni dei consumatori. Dalla’altra parte si schierarono praticamente tutte le Amministrazioni e i partiti politici, con una sorta di testa d’ariete mediatica e organizzativa rappresentata dall’Associazione “Le Città di Roma”. Un’Associazione dotata di grandi capacità comunicative e organizzative e con una larghissima disponibilità di risorse, anche economiche, potendo contare anche sui contributi di imprenditori, come esplicitamente affermato dal suo Presidente, Pippo La Cognata, giustificandoli per il raggiungimento della mission dell’Associazione: “L'obiettivo principale della nostra associazione è quello di costruire su alcune tematiche importanti per il governo della città ...... obiettivi e programmi condivisi e utili per migliorare la città attraverso questo metodo, basato sulla "concertazione sociale”, operando quindi, a suo dire, per facilitare i rapporti tra l’imprenditoria e la popolazione e, nel caso specifico, decidendo che il gassificatore a Malagrotta fosse quanto di meglio cui i cittadini della Valle Galeria potessero anelare.
Le divergenze tra le due controversie in campo non sono questioni di lana caprina, ma progetti strategici, modelli di gestione dei rifiuti totalmente antagonisti e inconciliabili.
Da parte della RRR Lazio l’opposizione netta all’incenerimento e quindi alla costruzione del gassificatore, del quale peraltro si avevano notizie poco rassicuranti sui suoi precedenti, il primo a Verbania, sul lago Maggiore, e il secondo in Germania, a Karlsruhe, chiusi dopo diversi problemi tecnici il primo nel 1999 e il secondo nel 2004.
L’altra parte, Città di Roma, DS, Margherita e centrodestra guidato da Storace – cui si devono le ordinanze sul gassificatore e l’allargamento della discarica a Testa di Cane – con una sorta di silenzio-assenso da parte degli altri partiti di Sinistra, puntavano invece su un modello che prevedesse un massimo di 35% di raccolta differenziata, 35% all’inceneritore e il resto in discarica.
Fondamentalmente, l’architrave di questo modello era l’incenerimento, cui la RD si sarebbe dovuta adeguare sia nella qualità che nella quantità per permettere appunto il “recupero energetico” e i lauti contributi conseguenti con i Certificati Verdi acquisiti dal gassificatore di Malagrotta prima e, successivamente, da quello di Albano.
La RRR Lazio, di cui i comitati di Massimina e Pisana facevano parte, contestò in tutti i modi e in tutte le sedi questo modello, sostenendo che in questo modo non si sarebbe affatto risolto il problema dei rifiuti e che, soprattutto la Valle Galeria, avrebbe in tal modo continuato a sopportare per molti anni ancora, se non per sempre, le conseguenze di un sistema che si preoccupava, in modo prioritario, della difesa degli interessi del monopolista dei rifiuti e non degli interessi della collettività e della salute dei cittadini; soprattutto di quelli della Valle Galeria, i più esposti alle conseguenze negative di uno smaltimento dei rifiuti giudicato, già allora, fallimentare e superato dalle nuove pratiche virtuose che si andavano sempre più affermando in tutto il mondo, ed anche in molti Comuni e Provincie italiane.
Non si è voluto allora tener conto di queste obiezioni, giudicate infondate e oltranziste; si sono minimizzati i rischi nella costruzione di un impianto con una tecnologia che aveva già prodotto clamorosi fallimenti e che, in conseguenza di questi fallimenti, era stata rifiutata da altri, come ad esempio dal Canton Ticino, la cui Municipalità aveva rinunciato a correre il rischio di costruirne uno sul suo territorio vista la mancanza di garanzie tecniche ed economiche. Non si è voluto tener conto nemmeno delle obiezioni dell’ufficio del Comune di Roma per la Valutazione di Impatto Ambientale, che ammoniva sulla pericolosità di installare questo inceneritore a ridosso della discarica e che, per la presenza di altri impianti vicini soggetti alla normativa “Seveso II”, avrebbe avuto bisogno di una valutazione “sull’area vasta” per la possibilità di incidenti rilevanti con rischio di effetto domino.
Sono prevalse le ragioni della forza di interessi particolari, in un pressapochismo fiducioso in un modello in cui anche in Europa, come già in America, non si credeva più e si andavano via via spegnendo gli impianti di incenerimento costruiti in un’epoca in cui si confidava che la fiamma purificatrice avrebbe bruciato ogni tossina inquinante, regalando per di più calore ed energia pulita (sic!).
Ma cosa è successo, una volta “vinta” la battaglia del gassificatore? Che le forze politiche, le amministrazioni si sono praticamente disinteressate del modo in cui questo modello veniva attuato per Malagrotta – “Le Città di Roma” ha addirittura chiuso i battenti – lasciando, di fatto, il controllo e la vigilanza ai comitati del territorio, che si sono quindi assunti anche l’onere di una surroga delle competenze di amministratori che erano stati eletti proprio per tutelare la salute e gli interessi dei loro elettori. Un’opera, quella dei cittadini nei comitati, evidentemente svolta in modo egregio, pur nella limitatezza delle risorse e dei poteri ed a volte anche contro un muro di gomma, visto che ad un certo punto il gestore della discarica si è risolto in una denuncia civile assurda, ma molto pericolosa, - preannunciando come possibile anche un’altra denuncia in sede penale - nei confronti del Presidente e del Vicepresidente di quel Comitato Malagrotta che non aveva mai mollato nel chiedere il rispetto di tutte le normative e il controllo delle condizioni ambientali e sanitarie nella Valle Galeria.
E veniamo al giorno d’oggi, o meglio, alla farsa di questi mesi, con il patetico gioco a nascondino della politica dietro il Commissario per non doversi esporre personalmente, soprattutto da parte della Governatrice Polverini e del Sindaco Alemanno, con decisioni che sarebbero risultate inevitabilmente impopolari. A questo Commissario viene dato l’incarico di togliere per loro le castagne dal fuoco indicando un sito, secondo un elenco preconfezionato e quindi con una indicazione già decisa, per chiudere Malagrotta individuando uno o più siti alternativi. Un compito che però il Prefetto-Commissario Pecoraro non è stato capace di portare a termine. Il primo Commissario non ha funzionato? Fa nulla, avanti un altro a far girare la giostra continua dei vari siti per la “discarica provvisoria” – perché essere scettici su questa definizione? anche la vita è un evento provvisorio – indicati a rotazione e poi subito scartati senza valide ragioni tecniche o scientifiche, senza logica, senza ritegno…in uno scontro patetico tra Istituzioni dello Stato: Ministri contro Commissario, Sindaco contro Presidente di Regione…
Situazione assurda? Niente affatto! È la normale conclusione, che se non fosse tragica si potrebbe definire da comiche finali, di un percorso, di un progetto, di un modello di gestione dei rifiuti che non poteva portare ad altro esito che a questo.
Un modello che si basa, ha il suo architrave, sull’incenerimento, facendo perdipiù ricorso alla sperimentazione di un impianto con gravi esperienze negative alle spalle. E qual è il risultato di questa scelta?
Il gassificatore di Malagrotta è entrato in funzione – si fa per dire – con oltre un anno di ritardo rispetto a quanto previsto, per le irregolarità normative riscontrate dai Vigili del Fuoco e dal NOE dei Carabinieri in sopralluoghi sollecitati dai Comitati, tramite l’allora Prefetto Carlo Mosca; sopralluoghi che produssero l’intervento della Magistratura perchè il gip ritenne “indubbio ed estremamente inquietante il ‘periculum in mora’” e dispose il sequestro dell’impianto fino ad avvenuta regolarizzazione ritenendo sussistere “fondato pericolo che la prosecuzione dell’attività e la libera disponibilità di cose pertinenti al reato possa agevolare o protrarre le conseguenze del reato, trattandosi di esercizio di impianto in totale carenza dei requisiti di legge”. Da qui una denuncia ed un processo ancora in corso.
Il gassificatore ha funzionato poi per poco più di un anno e mezzo, a percentuali di utilizzo, per quanto è dato di sapere, molto basse rispetto alle potenzialità e con una sola linea delle tre previste dal progetto. Ora è fermo, secondo una nota ufficiale del COLARI, dal 10 ottobre 2011 “per tutto il tempo necessario alla realizzazione del ciclo industriale di produzione elettrica…A questo fine stiamo anche lavorando presso gli istituti finanziari per reperire i necessari mezzi economici”. Nel frattempo, e durante “tutto il tempo necessario” 60 dipendenti sono in Cassa Integrazione però ancora senza stipendio da dicembre 2011, e non è ipotizzabile quando possa essere raggiunta la piena operatività secondo le aspettative e i programmi previsti in quel “modello” di gestione dei rifiuti, visto che il gestore non sa se e quando potrà costruire le due linee mancanti perché sta cercando finanziamenti da Istituti bancari – che come si sa, nella situazione economica attuale, non sono così propensi a finanziare progetti industriali, soprattutto se con qualche dubbio rispetto alle garanzie tecniche e/o economiche -.
Quindi, ricapitolando con una serie di domande che io ritengo più che legittime, doverose:
- a nove anni dalla presentazione del progetto, a sette dall’autorizzazione tramite l’Ordinanza n.16 del 25 marzo 2005, sei anni dopo l’inizio dei lavori di costruzione datati gennaio 2006 l’impianto è fermo perché mancano ancora i soldi per costruire 2 delle 3 linee previste dal progetto e necessarie al suo funzionamento?
- e non si sa fra quanto tempo e se potrà avvenire il completamento?
- e questa sarebbe la soluzione che avrebbe risolto il problema dei rifiuti, chiuso la discarica di Malagrotta e avviato quindi il risanamento della Valle Galeria per cui già otto anni fa in tanti si sono spesi e che ancora oggi continuano a sostenere?
- e perché fermare la sola linea funzionante mentre si cerca di reperire i fondi e non lasciarla invece accesa per produrre quell’ “energia pulita” tanto esaltata, in attesa di avere a disposizione le risorse economiche per costruire le altre altre due?
- non ci saranno invece altri problemi, di natura tecnica? ad esempio: per quale motivo la fiamma di emergenza era quasi sempre accesa? Che emergenza è se funziona sempre?
Fallimento totale dunque. E l’altro architrave del modello inceneritorista? Il gassificatore di Albano? Il fratello maggiore, il più grande del mondo come lo definì Cerroni, a che punto è?
Non so più quanti anni di ritardo abbia già accumulato nell’avvio della costruzione e quindi, nel ormai fantomatico progetto di “ciclo integrato” dei rifiuti tanto declamato da almeno un decennio come la soluzione finale. A parte i forti dubbi per la possibilità che anche per questo impianto, una volta eventualmente costruito, possano verificarsi gli stessi inspiegabili ritardi e inconvenienti di quello di Malagrotta, attualmente la situazione è che il Consiglio di Stato ha dato il via libera alla costruzione, ribaltando quindi la decisione del TAR che l’aveva bloccata. Una sentenza, quella del Consiglio di Stato che ha provocato autentiche manifestazioni di giubilo da parte di alcuni personaggi politici che si erano già distinti nella decisione favorevole al gassificatore di Malagrotta. Un giubilo motivato dal fatto che, o loro dire, questa sentenza avrebbe finalmente consentito a Roma di risolvere il problema dei rifiuti e non finire quindi in un’emergenza simile a quella napoletana.
Ora, qualche considerazione su questo: l’emergenza, lo dice la parola stessa, è un’emergenza, è attuale, è adesso. La costruzione di un gassificatore, le autorizzazioni, i controlli, le prove e l’eventuale entrata in funzione, lo dimostra Malagrotta, richiedono anche 8-10 anni; se mai sarà. Come si possano conciliare questi due eventi temporali se non con una modifica della curva spazio-tempo, come si vede in alcuni film di fantascienza, non lo so proprio.
Ma le manifestazioni di giubilo risultano infondate anche per un altro piccolo particolare. La sentenza del Consiglio di Stato, evidentemente non letta a fondo, se autorizza la costruzione del gassificatore, nega però la possibilità che questo impianto possa beneficiare dei contributi CIP 6, come era stato tentato di ottenere da una manovra da prestigiatore di Marrazzo per far rientrare anche questo impianto, fuori tempo massimo, nei termini di accesso ai fondi pubblici. No, ha detto il Consiglio di Stato, non vale. Quelle centinaia di milioni – 250/400 le cifre sono discordanti, ma comunque notevolissime – non possono essere presi dal CIP 6 ma anzi, visto che la Regione ha autorizzato quell’impianto per affidamento diretto e non per gara pubblica, sarà la Regione che dovrà farsi carico dell’onere economico della costruzione del gassificatore da lei ordinato.
Ho un piccolo sospetto: che la Regione Lazio non goda di una situazione economica tanto florida da potersi permettere una spesa aggiuntiva di tale portata. E anche Cerroni, se non riesce a reperire i fondi per finire di costruire il gassificatore di Malagrotta – ormai denominato “l’Incompiuto” – come potrà trovare i soldi per quello di Albano?
Il tutto naturalmente senza tener conto del fatto che i combattenti cittadini dei Castelli stanno già frapponendo un’altra serie di ostacoli legali nel tentativo di vanificare, comunque di ritardare, la sentenza del Consiglio di Stato favorevole al COEMA (Cerroni e soci). Dal loro sito consiglio questo interessantissimo articolo su: “LA THERMOSELECT, CLINI ED I GIAPPONESI”.
In definitiva: il piano rifiuti della Regione Lazio, che possiamo chiamarlo Storace-Marrazzo-Polverini visto che è sempre lo stesso con aggiustamenti marginali, non di strategia, un piano che si fonda sull’incenerimento come elemento portante, ineliminabile, decisivo e, a detta dei sostenitori anche qualificante per il recupero energetico che produce, bene, questo piano inceneritorista è però senza inceneritori. Che è come dire che si và da una città ad un'altra in treno, ma senza treni e anzi ancora senza buona parte della ferrovia che è ancora da costruire.
In questa condizione ci si potrebbe attendere, da tutti gli attori coinvolti, una presa d’atto e dei comportamenti coerenti e decisioni conseguenti. Ad esempio, da parte delle Autorità (quanto ha perso di significato questa parola) l’assunzione di una impraticabilità del modello perseguito in tutti questi anni, messo nero su bianco in quel libro dei sogni degli inceneritoristi che è il piano rifiuti. Ma a quanto pare non è così, non è ancora così. L’ossessione ideologica assurda a favore dell’incenerimento, anche quando questo risulta impossibile, sta offuscando le menti anche ai cosidetti “tecnici”, facendogli fare la figura di perfetti sprovveduti e indecisi a tutto. Mentre i cittadini, non tutti fortunatamente ma sicuramente la maggioranza, si mobilitano gli uni contro gli altri cercando solo di far scaricare lontano da loro, e quindi sugli altri, tutti i rifiuti che l’attuale modello sia di consumo che di gestione dei rifiuti continuerà a produrre e a non saper come smaltire. Io credo sia necessario, da parte dei cittadini, maturare una consapevolezza che il sistema consumistico nel quale siamo immersi non regge più, non poteva reggere un sistema basato in una crescita infinita in un pianeta le cui risorse invece non sono affatto infinite.
C’è anche un che di profondamente immorale nel dire e nello scrivere su manifesti e striscioni, che non si vuole la discarica sui propri territori perché inquina, avvelena noi e i nostri figli e fa perdere valore alle nostre case. E gli altri, e i figli degli altri, e le case degli altri? Pur non essendone un frequentatore, penso di interpretare abbastanza bene gli insegnamenti della Chiesa per capire che questo comportamento non segua l’indicazione: “Ama il prossimo tuo come te stesso”.
E in questo magma di egoismo non poteva mancare l’opportunismo di che cerca di sfruttare la situazione - anche in un’ottica elettoralistica in vista delle amministrative del 2013 - ponendosi a capo delle manifestazioni con slogan che parlano alla pancia della gente, non alla testa. E fra questi spiccano anche alcuni che sono stati la causa originaria di questa ingovernabilità odierna. Ricordiamo tutti credo, che alla prima manifestazione a Riano fece la sua apparizione anche l’ex governatore Marrazzo. E nelle iniziative nella Valle Galeria è facile riconoscere anche chi tra il 2004 e il 2006 si è prodigato per far costruire prima e difendere poi il gassificatore di Cerroni; e che ancora oggi c’è chi sostiene quella scelta affermando di non credere nella possibilità della raccolta porta a porta a Roma e che comunque, fino a quando non si riuscirà a differenziare il 100% ci sarà bisogno dell’incenerimento di una parte dei rifiuti.
Ma quale incenerimento! Gli inceneritori non ci sono, non ci saranno! Ora c’è solo il conferimento in discarica; in discariche che non saranno, non potranno essere temporanee.
Basta però che siano lontane da Malagrotta. È questa la sola cosa che interessa questi eterni inceneritoristi senza inceneritori.
Quando questa follia demagogica si sarà placata, potremo renderci tutti conto che l’unico modo per evitare che nella Valle Galeria vadano in porto i progetti già presentati per la nuova discarica a Monti dell’Ortaccio: http://www.slideshare.net/ridivita/progetto-discarica-monti-dellortaccio che con il progetto aggiuntivo di una linea ferroviaria potrà portare li dentro i rifiuti con il treno: http://www.slideshare.net/ridivita/ferrovia-malnome , sarà quello di unire TUTTI i Comitati di Roma e del Lazio per dire tutti insieme NO all’incenerimento, No a TUTTE le discariche, NO a questo modello fallimentare di gestione dei rifiuti e NO a tutti quelli che lo hanno sostenuto e continuano a farlo ancora oggi, anche dinanzi alla dimostrazione evidente di questo fallimento.
La soluzione, l’unica, è ridurre i rifiuti e riciclare e riusare quelli prodotti. Non è un obiettivo immediato; occorrerà un periodo di transizione da un sistema che non funziona a questo modello virtuoso, e dovremo ragionare sulla transizione da un modello di gestione all’altro, non da un sito di discarica ad un altro. Ci vorrà del tempo, però sicuramente meno di quanto occorrerebbe per mandare a regime gli inceneritori, se mai ci andranno.
Sta già accadendo; in Europa si stanno progressivamente dismettendo gli inceneritori per mancanza di “materia prima”, perché la pratica virtuosa della raccolta differenziata porta a porta sta progressivamente facendo mancare il “combustibile” a questi impianti. La Reuter il 5 giugno ha pubblicato la notizia che la tedesca E.ON, leader mondiale nel settore dell'energia, con sedi anche in Italia, ha messo sul mercato un suo inceneritore con recupero energetico. Il problema è che la capacità di incenerimento della Germania è sovradimensionata rispetto all'offerta di rifiuti da bruciare. Dagli anni '90, quando la Germania decise di incentivare la realizzazione di "termovalorizzatori" per ridurre la sua dipendenza dalle discariche, molte cose sono cambiate: al grande affare degli inceneritori si sta contrapponendo, l'altrettanto grande affare del riciclo in forte e costante crescita. E poiché in Germania valgono le leggi del mercato (gli inceneritori tedeschi non ricevono alcun sussidio dallo Stato) chi gestisce gli inceneritori è costretto a pagare di più (avete letto bene!) i rifiuti che ricevono e per di più i costi dell'energia elettrica prodotta dai loro impianti sono diminuiti. Situazione analoga si sta verificando in tutti quei paesi del nord Europa che negli anni passati hanno investito negli inceneritori e che ancora ci vengono portati ad esempio per convincere gli Italiani che incenerire è bello. Gran parte di questi inceneritori non hanno ancora ammortizzato gli ingenti investimenti che sono stati necessari per la loro realizzazione e pertanto sono costretti ad importare combustibile (rifiuti) in quanto non possono chiudere. Oltre alla Germania, anche Svezia e Olanda, per carenze di offerta di rifiuti dal mercato interno, son ben felici di importare rifiuti da fuori e non solo da Napoli e, tra poco, da Roma.
Ma c’è ancora di più. Una recente Risoluzione del Parlamento Europeo indica chiaramente per il 2020 l’obiettivo di zero discariche e zero inceneritori. Nella relazione della seduta dell’8 maggio 2012 si possono leggere tra gli altri questi punti:
28. esorta gli Stati membri ad assicurare la piena attuazione dell'acquis dell'UE in materia di rifiuti, stabilendo inoltre obiettivi minimi attraverso le loro strategie e i loro piani nazionali di prevenzione e gestione dei rifiuti; ribadisce che gli obiettivi esistenti in relazione alla raccolta e alla differenziazione devono essere ulteriormente elaborati e impostati in modo da ottenere il recupero massimo e qualitativamente migliore dei materiali in ciascuna fase; sottolinea, pertanto, la necessità che i finanziamenti dell'UE diano la priorità alle attività che risultano ai più alti livelli nella gerarchia dei rifiuti, come sancito dalla direttiva quadro sui rifiuti (ad esempio conferendo priorità agli impianti di riciclaggio rispetto allo smaltimento dei rifiuti); invita la Commissione a valutare la necessità di migliorare e armonizzare le statistiche e i metodi di calcolo relativi ai rifiuti, al fine di disporre di una base affidabile per promuovere il riciclaggio;
31. invita la Commissione e gli Stati membri a concentrarsi maggiormente sull'informazione, sull'educazione e sulla sensibilizzazione, soprattutto per quanto concerne la raccolta differenziata, il riutilizzo e il riciclaggio, tenendo presente che l'educazione ha un impatto diretto sulle abitudini in materia di impiego efficiente delle risorse;
32. invita la Commissione a razionalizzare l'acquis in materia di rifiuti, tenendo conto della gerarchia dei rifiuti e della necessità di ridurre i rifiuti residui fino a raggiungere livelli prossimi allo zero; chiede pertanto alla Commissione di presentare proposte entro il 2014, allo scopo di introdurre gradualmente un divieto generale dello smaltimento in discarica a livello europeo e di abolire progressivamente, entro la fine di questo decennio, l'incenerimento dei rifiuti riciclabili e compostabili; ritiene che queste iniziative debbano essere accompagnate da idonee misure transitorie, tra cui l'ulteriore sviluppo di norme comuni basate sul concetto di ciclo di vita; invita la Commissione a rivedere gli obiettivi per il riciclaggio per il 2020 della direttiva quadro sui rifiuti; ritiene che un'imposta sullo smaltimento in discarica, già introdotta da alcuni Stati membri, potrebbe contribuire al raggiungimento di tali obiettivi;
In definitiva, pure nell’ipotesi di considerare che questo modello basato su inceneritori e discariche possa funzionare, e volessimo anche essere assolutamente ottimisti immaginando che gli impianti mancanti vengano costruiti e vadano a regime fra otto anni, nel 2020 cioè, questo vorrebbe dire che, stando alle Direttive della U.E. non si potrebbero usare.
Dal punto di vista economico invece, i costi dell’impiantistica per il compostaggio e il riciclaggio, sono certamente di molto inferiori a quelli per la costruzione degli inceneritori.
Cosa altro serve per decidere di mettere al bando gli inceneritori (e anche chi ancora li sostiene)?
Roma, 12 giugno 2012
Maurizio Melandri