di Andrea
Palladino
storie . UN AFFARE MILIONARIO
GRAZIE AGLI INCENERITORI
La
banda DEI RIFIUTI
Decine di mediatori,
laboratori compiacenti, certificati taroccati. L'inchiesta sul consorzio Gaia a
Colleferro svela come funziona la truffa delle ecoballe in Italia
«Gaeta', quei certificati nun ponno cammena', hai capito?». E' il 13 maggio del
2008. I carabinieri del Noe, seguono ormai da mesi i camion dei monnezzari
campani, ascoltano le telefonate, che in quelle ore diventano improvvisamente
concitate, allarmate. C'è un giro di certificati di laboratorio falsi, sui quali
gli investigatori stanno per mettere le mani. Qualche ora ancora e le parole di
Fabio Mazzaglia, tecnico di laboratorio di Ercolano, diventano disperate: «Tu
quel certificato lo devi fare sparire, hai capito Gaetà?». Gaetano - che ascolta
preoccupato - è il direttore tecnico della De.Fi.Am., azienda specializzata in
rifiuti, di Serino, in provincia di Avellino. Insieme al padre si occupa di
rifiuti da sempre, si può quasi dire che sulla monnezza c'è nato. I suoi camion
sono partiti da qualche ora, hanno risalito l'autostrada, imboccato l'uscita
Colleferro, a pochi chilometri da Roma. Fanno questo percorso tutti i giorni,
portando anche 24 tonnellate di rifiuti alla volta all'inceneritore del
consorzio Gaia. Quel 13 maggio, però, i carabinieri avevano scoperto il trucco:
le analisi necessarie a garantire che nei forni non entrasse nulla di tossico
non erano mai state fatte.
Sono decine i tir che arrivano nel piazzale davanti alle due torri sputafumo di
Colleferro. Scaricano balle di Cdr - combustibile da rifiuti - una sorta di
carburante ottenuto triturando la monnezza d'Italia. Balle che salgono i due
nastri, passano per una griglia ed entrano nei forni, che alimentano le turbine
a vapore. Ne escono kilowatt, energia che una norma - abolita in Europa, ma
resuscitata in Italia - chiama «pulita». Un rifiuto certificato - in teoria -
esente da cloro, da metalli, da veleni, che se bruciati possono uccidere
lentamente chi abita vicino alle due torri dell'inceneritore. Certificato
all'origine, come il vino doc, con una carta d'identità da portare sempre
appresso, pronta a dimostrare la purezza del prodotto.
Quel 13 maggio del 2008 i carabinieri erano andati a mettere il naso nel
laboratorio di Fabio Mazzaglia, ad Ercolano, che preparava i certificati per le
ecoballe della De.Fi.Am. Non un controllo di routine, ma una visita mirata,
perché gli investigatori già sapevano che a Colleferro arrivavano rifiuti
indifferenziati, non Cdr, arricchiti con copertoni, amianto, metalli, lastre di
alluminio e batterie. I certificati del Cdr campano che a Colleferro bruciava
erano taroccati, «nun ponno cammenà», come spiegava bene il direttore del
laboratorio.
Vera monnezza era anche quella che arrivava da altre aziende campane, dalla
romana Ama, da piccoli e grandi trasformatori di rifiuti. L'inceneritore
bruciava il talquale, inquinava e truffava lo stato, secondo l'inchiesta che ha
travolto nei giorni scorsi il consorzio Gaia. Nei forni entravano rifiuti sicuri
solo sulla carta, accompagnati da certificati fasulli e sottoposti all'arrivo a
controlli puramente formali.
Tra le pieghe dell'inchiesta si intravede il mondo dei monnezzari d'Italia.
Campania, Puglia, Lazio, Toscana, la regione, in realtà, poco importa. Nel
centro del business ci sono decine d'intraprendenti mediatori, stakeholder,
affaristi, maghi della trasformazione. Serve Cdr? Offrono il servizio completo,
laboratorio d'analisi incluso. Produzione, trasporto, certificazione in un unico
pacchetto. «Io ho dodici carichi al giorno... pronti... subito ... veloci ...».
Antonio Vischi, il mediatore tra Gaia e la De.Fi.Am., fa la sua offerta diretta
a Stefania Brida, responsabile dei rifiuti di Colleferro. «Mandameli... otto
sabato... mandameli, capito?». Ci pensa poi Antonio - secondo i magistrati - a
sistemare i certificati, a far uscire dai laboratori i risultati giusti, a
contrattare il prezzo, a far «risparmiare moltissimo sulla macinazione». Tutti
sanno che di legale c'è ben poco, sanno di lavorare sul filo del rasoio, sanno
che «se i Noe ci acchiappano ci fanno un c... così». Sanno, tacciono,
trasportano, bruciano.
E' una rete fitta, fatta di contatti spesso sotterranei, di società minuscole,
ditte individuali. Come quella del socio di Antonio Vischi, Michele Rizzi, un
pugliese che di rifiuti se ne intende. Nel 2006 venne coinvolto in un'altra
inchiesta dei carabinieri del Noe, che portò a nove arresti in Puglia e in
Campania. Quella volta i mediatori si occupavano di compost, di rifiuti organici
da trasformare in concime, di rifiuti speciali che finivano in discariche non
autorizzate. Venne arrestato dai magistrati pugliesi, ma è bastato cambiare
regione per ritornare nel giro, questa volta con il Cdr e il megainceneritore di
Colleferro.
Le quantità e i soldi in ballo sono enormi. Lo stesso Antonio Vischi - oggi agli
arresti - qualche giorno prima che scattassero le manette e il sequestro degli
impianti di Colleferro, cercava clienti su un portale specializzato nella
mediazione dei rifiuti. «Abbiamo la disponibilità di 200 tonnellate al giorno di
Cdr per impianto di termovalorizzazione del centro Italia», ovvero Colleferro.
Un giro d'affari che poteva raggiungere anche i 500.000 euro al mese, solo per
questo annuncio, considerando il valore di mercato di 90 euro a tonnellata.
Costi alti, altissimi, perché - in realtà - di Cdr ce n'è poco. Secondo il piano
regionale dei rifiuti, il Lazio ne produce ogni anno 140.730 tonnellate, che a
mala pena basterebbero per l'impianto di Colleferro. Quando poi il piano di
realizzazione dei nuovi inceneritori andrà in porto, nel Lazio ci sarà una
capacità di bruciare 710.000 tonnellate l'anno di combustibile da rifiuti, con
un giro d'affari di quasi 70 milioni di euro solo per il costo del Cdr. Se già
oggi il mercato dei rifiuti laziale è straordinariamente ricco per i tanti
mediatori, il futuro immediato sarà la miniera d'oro delle ecomafie.
Il Cdr è in realtà il vero centro del business degli inceneritori. Il consorzio
Gaia avrebbe dovuto produrlo direttamente - secondo i piani di qualche anno fa -
ma i soldi sparirono. Un'altra inchiesta - sempre della Procura di Velletri - ha
ricostruito un milionario giro di finanziamenti spariti nel nulla durante la
gestione precedente il commissariamento. Milioni ottenuti dalla Cassa depositi e
prestiti, destinati - tra l'altro - alla realizzazione d'impianti Cdr fantasma.
Fu la dirigenza del consorzio a decidere che il combustibile era meglio
comprarlo sul mercato, rivolgendosi ai mediatori che rastrellano i rifiuti
ovunque. Carichi «pronti... veloci», senza tanta burocrazia. La guardia di
finanza di Colleferro ricostruì con cura il presunto giro di fatturazioni false
e di buchi di bilancio, denunciando nove ex amministratori e sequestrando 52
milioni di euro.
E' bene tenere a mente il quadro descritto nell'indagine dei carabinieri del Noe
di Roma. C'è un territorio continuo che scende da Roma fino a Caserta, che è
oggi la terra degli inceneritori, del Cdr, del movimento frenetico di tir, della
logistica della monnezza. Malagrotta, Albano, Colleferro, San Vittore nel Lazio
sono gli impianti presenti e futuri del cartello Cerroni - Acea - Ama; Acerra è
il terminale campano dell'asse del «ciclo industriale dei rifiuti» che sta
entrando in funzione proprio in queste ore.
Proprio il Cdr e gli impianti di incenerimento costruiti dalla Fibe ad Acerra
furono una delle principali cause dell'emergenza. E' difficile - se non
impossibile - trovare un combustibile da rifiuti decente da quelle parti. Quello
che Colleferro bruciava dimostra che in realtà il problema non è solo campano. E
mentre il consorzio Gaia viene messo in vendita, si inizia ad intravedere anche
nel Lazio il ricatto dell'emergenza: le discariche rischiano la chiusura da un
momento all'altro, la differenziata è ben lontana da un livello accettabile.
Sarà un'altra emergenza a far digerire la truffa degli inceneritori?